Incontrai Rita, che era una prostituta.
“ando vai don robè?”

dissi “basta, vengo ad abitare tra di voi perchè non è più il caso.”

Il cane Cecio  |   La Serenata   |   La Magica

CAPITOLO I

Il cane Cecio

Cane Cecio
2019

Passando su via dei quintili se si curiosa dietro l’entrata dimessa e ombreggiata da un vecchio leccio si scorge un patio dai muri bianchi e un po’ scrostati colorato da piccole piante fiorite sapientemente sistemate, è qui che abita il cane Cecio, il cane Cecio avrà sicuramente un nome ma la sua caratteristica principale è appunto la cecitudine da non confondere affatto con la cecità.

Ce-ci-tù-di-ne: dal carattere mite e dimesso condito con un tocco di tenerezza.

Quando passi davanti a lui i suoi occhioni grandi e timorosi ti guardano senza fissarti, ti seguono finchè non sparisci dietro qualche cancello o vicolo. Se ne sta lì, seduto con un orecchio abbassato e l’altro che punta il cielo (...) Il cane Cecio con la sua flemma da cane saggio e paziente starebbe benissimo in un romanzo di Saramago insieme a tutto il suo patio.

CAPITOLO II

La serenata

“Io so de strada ma ste cose nun lo ‘ntese mai.
eh ma ce so delle storie al quadraro...”

CAPITOLO III

La Magica

Totalmente giallorosso sto quartiere, i laziali se c’erano o non se facevano vedè o erano talmente pochi che ...capì? mo no, mo è diverso.

Fedayn

I Fedayn sono uno dei più importanti gruppi ultrà della tifoseria giallorossa;  nati nel ‘72 nel quartiere del Quadraro, e da allora sempre presenti in Curva Sud.
Prendono il loro nome da un rimprovero che li veniva spesso rivolto per l’eccessivo attaccamento alla loro squadra anche in periodi buii: “siete peggio dei fedayn” (gruppo terroristico di liberazione palestinese), ed è per questo che dal ‘72 decisero di adottarlo come nome.

“E quanno more er prete sonano le campane piangono le puttane e i loro protettori
ma quanno moro io non voglio gesù cristi ma solo gagliardetti dei Fedayn teppisti”

Inno dei Fedayn

Mia nonna, figlia di un macellaio di Trastevere con problemi di gioco, disse a mio zio: «Non si può piangere per una partita di calcio».

Ricorda anche che il giorno dopo a Roma c’era poco traffico: «Credo che poca gente sia andata a lavorare il giovedì».

Lo spumante e l’assenza di traffico (per altri è l’assenza di rumore, il silenzio altrettanto raro a Roma) servono a rendere un’idea: la finale dell’edizione ’83-’84 di Coppa Campioni, giocata all’Olimpico e vinta dal Liverpool ai rigori, è stata sia la partita che nessuno pensava di poter perdere, perché altrimenti che senso aveva arrivare in finale proprio l’anno in cui si sarebbe giocata a Roma; sia la partita che se non si è vinta quella, non si vincerà mai nessuna finale.

È stata la partita che ha condannato i tifosi giallorossi al pensiero magico e al paradosso, a una vita stretta tra l’entusiasmo cieco e la cupissima convinzione che la Roma sia destinata a soffrire.

 

Approfondimento: ultimouomo.com/roma-liverpool-finale-84/

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